Riflessioni


   

supplemento all'informatore n° 139 (7 Marzo)

L'IRA: VIVERE DA ARRABBIATI ?

LA BESTIA NERA DELL'IRA CIRCOLA TRA NOI… FUORI E DENTRO DI NOI

Sarà perché viviamo di corsa stressati dal traffico, dal lavoro, dal goal mancato… ma come facciamo in fretta a "perdere le staffe", a "incavolarci neri". Scattiamo per un nulla. In modo esagerato, spropositato. È l'ira che da dentro fuoriesce riversandosi rovinosamente sulle nostre relazioni quotidiane: a casa, sul lavoro, allo stadio, per strada, in coda, in politica …

Per gli antichi l'ira era una «breve follia», una «momentanea demenza». In effetti, secondo Aristotele «adirarsi è facile, ne sono tutti capaci, ma non è assolutamente facile, e soprattutto non è da tutti adirarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa».

Se le parole hanno un senso, certe volte "incavolarci", ma senza esagerare, è giusto. "Sdegnarci" per delle ingiustizie, per la violenza perpetrata contro degli innocenti o per la falsità e l'ipocrisia di tanti comportamenti privati e pubblici non solo è giusto, ma anche doveroso per chi ha una coscienza moralmente attenta.  

REAZIONI SPROPOSITATE 

Altra musica, invece, quando ci si trova di fronte a reazioni sproporzionate per delle futilità. Una battuta di spirito o un piccolo contrattempo scatenano in alcuni il finimondo. Di questi soggetti ne conosciamo tutti. Forse noi stessi siamo così.

Che uomo  e che donna  è il collerico? Un intransigente presuntuoso che ha sempre qualcosa da ridire o da rimproverare agli altri. A se stesso mai perché è convinto della sua superiorità. Si risente per un nulla. Ma lo scatto d'ira rivela una persona psicologicamente fragile. Ha una paura immensa di non essere accettata e considerata. La disobbedienza o il dissenso la manda il tilt. Molti genitori ed educatori si trovano in questa situazione. Perdono le staffe per la disobbedienza del figlio o dell'educando. Scatta in loro un sentimento di insicurezza: non vengono presi sul serio. E allora, come riaffermare la propria autorità e la propria importanza? Gridando, imprecando, umiliando … e talvolta menando le mani. Il propellente dell'ira è la paura. Paura di non essere abbastanza importante per gli altri. Forse qui troviamo la chiave di tanti conflitti familiari, educativi e non solo. Situazioni di frustrazione affettiva, relazioni difficili non gratificanti vengono vissute come una sorta di ingiustizia contro cui ribellarsi, con rabbia. "Avercela con il mondo intero"  come si dice  è rivelativo di immaturità tipiche dell'età infantile quando per farsi notare e imporsi si fanno i capricci e si pestano i piedi con urla lancinanti. 

I MOTIVI DELL'IRA 

L'ira di cui siamo testimoni non si esprime sempre allo stesso modo. Ci sono quelli che, ad esempio, davanti a un sorpasso azzardato si accendono come dei fiammiferi. Magari si mettono all'inseguimento e poi giù parolacce, gestacci e talvolta anche un pestaggio. E' la collera cosiddetta "rossa", forse per il colore paonazzo del volto arrabbiato. Scatta quando uno si sente come "aggredito ingiustamente". Al semaforo, in una coda troppo lunga, in un gioco di carte "sfortunate": lo scatto d'ira è l'autodifesa della propria autostima.

Ci sono soggetti apparentemente più misurati: questi, lì per lì, non vanno in escandescenze. Sanno trattenersi. In realtà sono i più pericolosi. Conservano dentro un livore e una rabbia che non aspetta altro che l'occasione buona per colpire. E' l'ira amara, vendicativa propria di chi è subdolo, infido, che aspetta solo il momento opportuno per farla pagare. Oggetto di tanto livore sarà il collega di lavoro che ostacola la sua carriera. Sarà il vicino di casa il cui cagnaccio fa la pipì contro la macchina parcheggiata sotto casa …

 CONTRO CHI? 

Ci si arrabbia sempre e solo contro gli altri? A volte ce la prendiamo anche con le cose. E' il top della stupidità. Quando il distributore di bibite ti frega il resto, capita che qualcuno "punisca" la macchina "ladra" prendendola a calci!!

Ce la prendiamo anche con noi stessi. Certe figuracce sono proprio indigeribili. Il solo ricordarle fa andare fuori di testa. È il tormento della presunta perdita di stima e di immagine: che cosa penseranno gli altri di me? E giù parolacce contro se stessi.

Anche contro Dio uno se la può prendere. Spesso è un senso di abbandono e di delusione di non essersi sentiti ascoltati e aiutati in un momento di grave difficoltà.  

LA PANORAMICA DELL'IRA 

La panoramica dell'ira è molto ampia. Sfoghiamo la nostra rabbia in tanti altri modi. Il gossip, come si dice, cos'altro è se non una rabbia "abituale", "continua" contro qualcuno che sta sullo stomaco? Oppure, trovare il capro espiatorio di una situazione imbarazzante è pure un modo per dar corso alla propria rabbia. Quest'ultima si sfoga anche coprendo il collega o il parente rompiscatole con l'indifferenza. E' come se non esistesse. E' un'ira repressa, "raffreddata".

Rimedi contro l'ira? Il più immediato e anche il più difficile: sottrarsi alla tirannia dell'urgente e all'ansia dell'ultimo minuto: sul lavoro, in famiglia, con gli amici… Un po' di relax e di silenzio aiutano a trovare se stessi e anche a verificare la causa di tante nostre arrabbiature spesso immotivate. Avere poi qualcuno cui confidare le proprie difficoltà e paure è non solo utile, ma necessario. E soprattutto iniziare la giornata con un momento di preghiera fissando lo sguardo sul Crocifisso: allora è possibile perdonare e guardare alla vita con un occhio più realistico e maturo.            (bs)

 

supplemento all'informatore n° 138 (27 Febbraio)
A proposito di denaro: la solitudine dell'avaro

“Sono ciò che possiedo”: ecco l’avarizia, uno dei grandi mali dell’uomo 

Un giovane chiede di entrare in un monastero. Gli chiede il Maestro: «Se avessi tre monete d'oro, le daresti ai poveri?". Il giovane risponde senza esitazione: «Sì, padre, con tutto il cuore». E il maestro ancora: «E se avessi tre monete d'argento?». «Certo! Ben volentieri». «E se avessi tre monete di rame?". Anche stavolta la risposta arriva senza esitazioni: «No, padre». «Perché?». «Perché le ho!».

Gli avari hanno un tratto di ossessività con ciò che possiedono, soprattutto con il denaro. Il loro è un desiderio mai soddisfatto. Sono come il mare: pur ricevendo un gran numero di fiumi non si riempie mai. L'avaro ha un solo desiderio: accumulare. È lo scopo e il tormento della vita sua e degli altri. Non a caso, san Paolo scriveva all'amico Timoteo che l'avarizia è la «radice di tutti i mali» (I Tim 6,10). Infatti, l'avaro stravolge l'evidenza delle cose: confonde il mezzo, ciò che possiede, con il fine. 

PERCHÉ SI DIVENTA  AVARI? 

Il sarcastico Voltaire diceva che l'avarizia è il frutto di un ingegno ristretto tipico di chi si trova in età avanzata. Certamente l'avanzare dell'età può creare ansiose paure e spingere a un risparmio eccessivo, anzi ossessivo. San Bernardo osservava acutamente che l'avarizia è un continuo modo di vivere in miseria per paura della miseria. Allora chi risparmia oggi per il domani è un avaro? No. Pensare al futuro è da saggi. Insensato, invece, è vivere per risparmiare e accumulare anche a costo di trovarsi immersi in una triste solitudine, tagliati fuori dalla vita. Nonostante ciò, l'avaro può provare piacere del suo denaro e di quanto possiede. È verissimo. Però, è un piacere che non toglie né la tristezza né la solitudine. La sua avidità gli si ritorce contro, negandogli la bellezza di tante relazioni disinteressate. Per lui, ormai, tutto ha un prezzo, un costo, un'utilità. Di tutti i desideri che affollano il suo animo, ne radicalizza solo uno: avere, possedere. Può ben dirsi: "Sono ciò che possiedo". Il resto non conta più nulla. «Alla povertà mancano tante cose – diceva il poeta Publilio Siro – all'avarizia tutte». 

NEL TEMPO DEL GREED MARKET 

Che faccia ha l'avaro nelle società globalizzate di oggi? La cultura della globalizzazione economico-finanziaria ha elevato il mito dell'efficienza e della produttività dell'homo aeconomicus a criterio unico di giudizio e di giustificazione, non solo della realtà economica ma anche della vita, legittimando l'avidità, quale motore della produttività. Qualcuno ha scritto che siamo passati dal free market al greed market (dal mercato libero al mercato ingordo). L'avidità è buona e giusta e ha sostituito il libero mercato. L'avidità dell'avarizia oggi prende forma, ad esempio, nelle remunerazioni astronomiche dei manager e nelle rendite finanziarie stratosferiche passando sopra alle scandalose disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Per l'economista Zamagni, l'avidità e la cupidigia sono, oggi, beni patrimoniali più tossici della finanza globale!

La Nuova Destra Americana, che annovera tra i suoi membri anche Alan Greenspan, l'ex presidente della Federal Reserve, difende questa tesi: "Non solo l'avidità è buona in sé, ma ogni tentativo di contenerla è un male, perché l'avidità è il meccanismo principale che regola l'ordine sociale". L'amore spregiudicato per il denaro, a detta del ben noto J. M. Keynes, è una passione morbosa, un po' ripugnate che si consegna con un brivido allo specialista di malattie mentali. 

L'AVIDITÀ SVUOTA IL CUORE 

Tutti conosciamo il vecchio Ebenezer Scrooge di Charles Dickens, un vecchio avaro chiuso nell'oscura solitudine della sua casa. Oggi, il nuovo Scrooge della finanza globalizzata com'è? E' uno che gestisce più società per azioni. Il suo scopo? Collezionarne sempre di più. Ciò che producono non gliene importa nulla, purché siano macchine da soldi. E' uno che pure spende… ma per se stesso. Anche se a differenza del vecchio Scrooge vive in ampi e luminosi uffici, la solitudine e l'infelicità rimangono le stesse. Oggi l'avarizia non è solo quell'avidità che tenta l'uomo da sempre. Essa ha assunto una portata sociale. Il denaro comunque guadagnato e tenuto stretto come un geloso possesso, in realtà, impoverisce il suo possessore: lo spoglia della capacità di donarsi e di relazionarsi agli altri in modo disinteressato. Per definizione, l'avaro non riesce a donare. E se dà non è senza un tornaconto. Chi, però, non sa donare non sa neanche amare. L'avidità dell'avere svuota il cuore. L'avaro diventa incapace di condividere in modo disinteressato esperienze, sentimenti, desideri, progetti di vita e ciò che possiede.

Un vizio così se portato all'eccesso muove al sorriso sia pure amaro. Dice Trilussa:

Ho conosciuto un vecchio ricco, ma avaro: avaro a un punto tale che guarda i soldi nello specchio per veder raddoppiato il capitale.
Allora dice: Quelli li do via perché ci faccio la beneficenza; ma questi me li tengo per prudenza... E li ripone nella scrivania.

 L'avarizia con la sua avidità è una malattia dello spirito è anche una minaccia sociale come aveva ben intuito G. B. Vico: «il declino di una società inizia nel momento in cui gli uomini non trovano più dentro di sé la motivazione per legare il proprio destino a quello degli altri, quando cioè viene a scomparire l'inter-esse». Terapie contro l'avidità dell'avarizia? Incominciare a considerare gli altri come il "mio" prossimo senza calcolarne costi e utilità. Sperimentare la bellezza dell'amicizia e dell'amore antidoto alla solitudine e alla tristezza. È pur sempre vero che c'è più gioia nel dare che nel ricevere!                                                       (bs)