Suor Enrichetta, beata!

Maria Angela Domenica Alfieri, detta semplicemente Maria, nasce a Borgo Vercelli, piccolo paese poco distante da Vercelli il 23 febbraio 1891. Cresce buona, dolce, pia e volenterosa, collabora in Parrocchia per annunciare la Parola di Dio. Sente sbocciare in sè la vocazione di servire unicamente e con tutte le sue forze Dio, e perciò, il 20 dicembre 1911, entra tra le Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret, nel grande Monastero "S. Margherita" di Vercelli, prendendo il nome di Enrichetta.

Dopo aver studiato a Novara, insegna in un asilo infantile di Vercelli, fino a quando, nel 1917, si ammala del terribile morbo di Pott. Il viaggio a Lourdes non ottiene la guarigione, ma, il 25 febbraio 1923 nel Monastero di Vercelli, per intercessione di Maria Immacolata, guarisce completamente. Il 24 maggio 1923 è inviata al carcere di S. Vittore a Milano. In quell'ambiente, le Suore della Carità, hanno il compito di assistere, soccorrere e incoraggiare le detenute, oltre che a dare un conforto spirituale.

Suor Enrichetta svolge così bene e con immenso amore questo compito, che le detenute la cercano in ogni momento e fanno a gara per stare più tempo possibile con lei. Si merita il titolo di "Mamma e Angelo di San Vittore". Intanto scoppia la guerra, e con lei, anche la persecuzione contro gli Ebrei. Il carcere di S. Vittore diventa la sede delle SS, i Tedeschi portano lì gli Ebrei in attesa del trasferimento nei campi di sterminio. In questo doloroso frangente, Suor Enrichetta si adopera in modo ancora più straordinario per ridonare la dignità agli Ebrei, così duramente provati. Una detenuta Ebrea che deve consegnare un biglietto ai fratelli dicendo loro di scappare, viene aiutata da Suor Enrichetta, che però viene scovata con il messaggio. Viene arrestata, e passa alcune settimane in una cella buia e senza alcun servizio nei sotterranei della prigione. La cella diventa pellegrinaggio di laici e religiosi che vogliono confortarla, ma ancora una volta è lei che conforta glia altri. Viene liberata per essere fucilata, ma è salva per interessamento del Cardinale di Milano, il beato Mons. Ildefonso Schuster che scrive a Mussolini. Viene allora trasferita nella casa Provinciale di Brescia, dove scrive le "Memorie", il diario di prigionia.

È richiamata a San Vittore, dove continua il suo apostolato illuminando e riscaldando con l'amore di Dio l'universo di umanità da lei incontrato. La mamma di S. Vittore muore il 23 novembre 1951. Nel 1995, dopo l'inizio del processo di beatificazione aperto dal Card. Martini, la sua salma, viene traslata dal cimitero di Borgo Vercelli, all'Istituto delle Suore della Carità in via Caravaggio 10, a Milano.

Verrà beatificata a Milano il 26 giugno 2011, domenica prossima.

"Il suo spirito di carità si manifestò in modo particolare negli ultimi anni della seconda guerra mondiale,

quando i tedeschi presero la direzione del carcere".

«Così suor Enrichetta mi ha ridonato la vita»

Il racconto di Stefania Copelli, miracolata attraverso l'intercessione dell'“Angelo di San Vittore”

quando, a 18 anni, impegnata nella ginnastica a livello nazionale, le era stato diagnosticato un tumore devastante...
Stefania Copelli è miracolata attraverso l'intercessione di suor Enrichetta Alfieri. Stefania, nata il 29 luglio 1975, coniugata con Marco, è madre di due figli: Anna di 9 anni e Davide di 3 anni. Lavora a Gorgonzola presso l'Istituto Maria Immacolata gestito dalle Suore della Carità. Oggi Stefania ha 36 anni, ma il miracolo risale alla sua adolescenza, nel 1993, quando aveva solo 18 anni ed era impegnata nella ginnastica a livello nazionale. Ecco l'intervista a Stefania: 

Può descrivere la malattia riscontrata in giovanissima età? 

Ero una ragazza di 18 anni quando nel novembre '93 avvertii i primi malesseri all'addome. Poiché praticavo ginnastica sportiva a livello nazionale si pensava a uno stiramento, che rientrava tra gli infortuni ordinari per chi pratica questa disciplina sportiva. Poi i dolori diventarono insopportabili e venni ricoverata al Policlinico di Zingonia, dove capirono subito che non si trattava di stiramento, ma di tumore. Il 22 dicembre venni operata. Durante l'intervento i medici poterono fare solo delle micro-biopsie, perché capirono subito che ero inoperabile. Dall'analisi fatta, la diagnosi era quella di un tumore a cellule indifferenziate. Anche la chemioterapia era ad alto rischio. A metà gennaio '94 i medici appurarono la gravità della malattia, che rese necessaria la mia continua ospedalizzazione, perché in casa l'assistenza era ingestibile. I medici mi avevano dato pochi giorni di vita. Mia zia suora spronava i medici nel loro lavoro, mentre lei pregava con l'obiettivo di trovare una cura adeguata. Verso la fine di gennaio feci una chemioterapia per tre giorni in fusione continua, nella quale si azzerarono tutti i valori. Ero ricoverata in una camera di terapia intensiva, dove trascorsi un periodo di cui non ricordo nulla. I medici dicono che in alcuni momenti ero presente, ma non ho ricordi se non a sprazzi.

 Quando cominciò ad avvertire che il male stava inspiegabilmente regredendo? 

L'11 febbraio 1994 fecero la prima Tac di controllo, dalla quale risultò che il tumore si era ridotto del 70%. Il primario di Zingonia, quando lesse i risultati della Tac, esclamò: «È un miracolo». Poi continuai i cicli di chemioterapia. A metà aprile diedi l'esame per la patente, a giugno l'esame di maturità scolastica con un buon punteggio. Devo confessare che all'inizio della malattia non ero pienamente cosciente della gravità del male. Non escludo che, data la giovanissima età, psicologicamente ho reagito con un pizzico di incoscienza.

 In quale circostanza ha incontrato la figura di suor Enrichetta Alfieri?

 In un certo senso l'ho incontrata dopo la guarigione, che oggi possiamo chiamare miracolo. Ho una zia suora della congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Durante il periodo della malattia la zia suora, insieme alle consorelle, alla comunità del paese, agli amici e ai parenti, ha pregato fervorosamente per la mia guarigione rivolgendosi a suor Enrichetta. Tramite suor Maria Guglielma, la zia riuscì ad avere un'immaginetta che era stata messa a contatto con il corpo di suor Enrichetta. Immaginetta che è stata posata sul mio addome, dove il dolore si era acutizzato. In seguito mi hanno raccontato come i medici, ogni volta che mi visitavano, spostavano l'immagine di suor Enrichetta per rimetterla a fine visita. L'immagine era stata avvolta in una busta trasparente perché, per motivi di igiene, ero in una stanza di terapia intensiva dove potevano entrare solo oggetti sterilizzati. Dopo il miracolo incominciai a pregare suor Enrichetta.

 È cambiata la sua vita?

 Vengo da una famiglia credente che ha sempre avuto una vita di fede nella comunità parrocchiale comune a tante altre. Sotto questo profilo la mia vita non è cambiata tanto, perché la fede è sempre stata la bussola nella nostra vita. Mentre è cambiata nei confronti proprio di suor Enrichetta. Ho sempre vissuto il rapporto con lei come se fosse di famiglia. Dal miracolo l'ho sempre avvertita vicino. Nelle tappe fondamentali della mia vita sono sempre venuta a pregare sulla sua tomba: prima del matrimonio e nei giorni precedenti il parto di Anna e Davide. Mio marito Marco non era presente al tempo del miracolo: per lui il racconto della mia storia è stato un po' difficile, come con altre persone a cui le circostanze mi portavano a parlare del mio miracolo. C'è sempre il timore di non essere capita, compresa. Personalmente non ho mai avuto problemi nel raccontare la mia storia. Ho sempre sostenuto che suor Enrichetta ha avuto una parte importante nella mia guarigione, anzi nel mio miracolo. La nostra vita è cambiata in meglio. Abbiamo un'amica in più.